(La terrificante confessione di un giovane serial killer)
Assaporai il primo
piacere del crimine per curiosità: strozzai un gattino nato da pochi giorni.
Non era stato difficile: solo una breve pressione delle dita su quel collo
semi-spelacchiato e fragilissimo. La sensazione che provai quando mi trovai tra
le mani la carcassa del micetto fu stranissima: il sangue mi scorreva
fervidamente nelle vene; mi sentivo euforico, eccitato: per la prima volta
provavo quell’appagante sensazione di sentirmi invincibile; nulla ormai poteva
essermi negato, se volevo imporre il mio volere. «Voglio uccidere questo
micetto!» avevo pensato, e con estrema facilità avevo realizzato impunemente
quel desiderio. Quando andai a gettare il corpicino inerte della creatura nella
spazzatura, capii che quello sarebbe stato il primo crimine di una serie. Era
come se avessi aperto la porta di una stanza prima segreta e potessi afferrare
tra le mani qualsiasi cianfrusaglia sparsa negli angoli, per poi scagliarla al
suolo e romperla. Ben presto divenni un sistematico piccolo uccisore: ammazzavo
rane e rospi calpestandoli fortissimamente con la suola dei mocassini (ma
smisi, poiché i rospi, spiaccicandosi, mi imbrattavano il lembo inferiore dei
pantaloni); staccavo le teste alle immote mantidi religiose, che ai miei occhi
esperti non riuscivano a mimetizzarsi del tutto nell’erba alta ondeggiante alla
brezza; facevo a pezzi i ragni che mi capitavano sotto tiro, amavo staccare le
zampette a quelli fini e conficcare spilli nel dorso peloso di quelli più
grossi; se riuscivo a catturare un uccellino gli aprivo il becco fino a
romperglielo; tagliavo la coda alle lucertole e se ci riuscivo facevo a pezzi
con un coltello rubato dalla cucina il loro corpicino scattante. Il desiderio
di fare del male non si estingueva mai, ma aumentava dopo ogni atto appena
commesso: ero come afferrato da una febbre incontrollabile di schiacciare,
colpire, fare a pezzi, squartare, rompere e questa brama voluttuosa cresceva di
giorno in giorno.
Arrivò
il momento nel quale m’innamorai di una ragazzina, che andava spesso vicino al
fiume a raccogliere fiori o semplicemente a passeggiare seguita dal suo gatto
nero con la coda tesa: feci amicizia con lei, ma quando cercai di instaurare un
rapporto più intimo lei si ritrasse inorridita. Qui devo ammettere che fui afferrato
di nuovo da quella sensazione che mi aveva agitato quando avevo compiuto del
male: sentivo crescere in me un irresistibile desiderio di dominio. Diedi uno
schiaffo alla ragazza, la strattonai e la feci cadere al suolo; la imbavagliai
con un fazzoletto per impedirle di gridare; le sue pupille erano dilatate per
la paura; quanto più cresceva la paura negli occhi della ragazza tanto più
cresceva nel mio cuore la brama voluttuosa di farle del male, di soggiogarla,
dominarla con la forza. Lei si divincolava: io la riempii di calci e pugni,
sputandole persino nella camicetta di seta bianca, che presto strappai per
scoprire i piccoli seni, turgidi come due mele acerbe. Per la prima volta
abusai del corpo di una ragazza e fu l’atto più euforizzante che avessi mai
compiuto prima d’ora: lei era svenuta a più riprese, io le avevo tolto il
fazzoletto, lei destatasi d’un tratto mi minacciò, disse che mi avrebbe
denunciato e che sarei finito in un riformatorio, dopo essere stato aspramente
punito. Per la prima volta provai paura per le conseguenze dei miei atti:
nessuno prima d’ora mi aveva detto una cosa simile dopo che avevo strozzato un
gattino o decapitato una mantide. La paura mi soverchiò completamente: afferrai
un sasso e colpii la ragazza nel volto, ripetutamente, finché non si mosse più;
allora gettai il suo corpo nel fiume e fuggii. Mi sentivo braccato, colpevole,
avevo commesso un vero crimine, ora. Ma che ebbrezza nel compiere quell’atto!
Che sensazione di potenza assoluta! Eppure ora quanti timori! Quante
preoccupazioni! La notte non dormii ripensando a ciò che aveva commesso. Ma
desideravo provare di nuovo quella meravigliosa sensazione di togliere la vita
a una creatura umana, come un piccolo dio, come un padrone dalla volontà
infinita, al di là del bene e del male.
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